Mario Morales – 1985

L’iter artistico di Antonia Fedon è contrassegnato da tre tappe ben precise che s’identificano con tre esperienze diverse, corrispondenti ad altrettante realtà culturali: la cadorina, la bellunese, la veneziana.
Nel suo Cadore ha modo di avvertire – nella sua prima giovinezza – l’influenza positiva del periodo più felice della “tavolozza cadorina” che si caratterizza per la predilezione del vedutismo, non senza aperture ed interpretazioni originali ed autonome della realtà.
I primi cimenti pittorici della Fedon si esplicano infatti nel paesaggio, vissuto ancora in forma unitativa. E’il primo richiamo al mondo dell’arte per innata vocazione, ma non ancora fortificato dalla sicurezza della tecnica che maturerà a Belluno nel contatto diretto con Paolo Cavinato il quale, pur chiuso nella sua aurea solitudine, non ha disdegnato di rendere partecipe del suo linguaggio artistico la Fedon, la quale dall’eccezionale talento del Maestro più che la tematica coglie gli accorgimenti di una singolare e raffinatissima tecnica. Ne deriva una composizione pittorica più ricca di potenza espressiva in virtù di una maggiore forza cromatica.
L’ultima delle esperienze è quella veneziana, consumata in questi ultimi anni – più che negli studi regolari (si diploma all’Accademia di Belle Arti) – nel contatto partecipativo con gli artisti della città lagunare, nella frequentazione dei Musei e delle grandi Mostre, nel quotidiano impegno culturale che stimola l’ansia della ricerca di soluzioni espressive più nuove e più autentiche. Ne consegue una sintassi pittorica più vivace e più essenziale, in virtù della quale le immagini vengono stilizzate e cedono il passo ad una gamma di colori, il cui contrasto tra toni caldi e freddi insieme, ci dà l’eco lontana di quel neoimpressionismo veneto che ebbe in Pio Semeghini il suo antesignano. Nelle opere di Antonia la condensazione cromatica prevale nel contenuto. Il paesaggio, interpretato in sintesi, mediante colori ora morbidi ora accesi, traduce di certo l’emozione lirica dell’artista, sia che essa s’ispiri alle sue Dolomiti o a Venezia, città che gradualmente ha imparato a capire e ad amare.
Nel dipinto “Autunno nelle Alpi” la densità e la mobilità della pittura agevola la lettura della figurazione che si esprime in policromi elementi fondamentali (la casa rustica, il laghetto, i monti, il cielo, gli alberi) appena individuabili nella loro singolarità, concepiti per essere colti nell’armonia della loro unità.
E’ l’insieme che prevale sulle parti così come si rivela nell’altro dipinto “Alberi nella valle” nel quale le immagini, costruite in modo irreale, c’inducono a cogliere la realtà naturale nella sua essenzialità e a vedere in funzione quasi simbolica le singole immagini (gli alberi nudi, le grigie nuvole, gli aerei aquiloni). Funzione simbolica che si appalesa vieppiù nel pregevole quadro “ Cannaregio” nel quale la sintesi prevale sull’analisi, anche se a chi lo voglia potrà esser dato di cogliere i dettagli (i fanali sulle panchine, i tavoli dei caffè, gli sfondi del cielo, l’acqua della laguna, le vele appena abbozzate, la barca stilizzata, il tendone) a danno dell’unità che si compendia in un luminoso gioco di colori che fa emergere – in una concezione quasi astratta – le motivazioni nate dall’emozione creativa e dalla fantasia. Queste semplificazioni relative alla più recente produzione artistica della Fedon sono la riprova di una tenace volontà che non si appaga delle mete raggiunte e che – mossa da un’inquietudine, non priva di ottimismo – non cade nella presunzione di credere in soluzioni conclusive e definitive.

Mario Morales