Luciano Banchelli – 1996
La storia tende a cristallizzare i grandi uomini in una dimensione mitica, e ognuno cerca di carpire qualcosa all’interno di questi cristalli; molti analizzano forme e contenuti usando strumenti “oggettivi”, nella ricerca di questa regola, da usarsi per dipanare il complicatissimo universo dei sentimenti sperando che, nel contempo, si illumini l’angosciante destino della propria umanità. Nei cristalli altri invece preferiscono ammirare i riflessi cercando di indovinare, attraverso gli ambigui giochi della trasparenza, il senso della sua natura cristallina.
Antonia Fedon sembra aver privilegiato questa seconda via, quando ha intrapreso il difficile compito di reinterpretare le emozioni del suo emerito concittadino (Dino Buzzati) attraverso la lettura dei suoi testi.
Essere nati nello stesso luogo (la città di Belluno) nutriti dall’aria della stessa montagna, certamente significa qualcosa, anche se i percorsi artistici di Antonia e del suo mitico conterraneo sono diversi. La favola di Buzzati si evolve intimisticamente nelle brume lombarde, dove il simbolismo “nordico” trova ironiche mediazioni nella peculiarità inventiva di questo grande scrittore, Fedon segue invece la storica “Via del Piave” e approda nella laguna dei dogi, trae da Venezia inevitabili stimoli e condizionamenti, il raggio luminoso, rotto dal perenne ondeggiare dell’acqua, ha stimolato gli insegnamenti dell’accademia, verso un linguaggio che fa pensare a quel cubismo fantastico, di cui Chagall è stato grande maestro e, nei confronti del quale, essa condivide anche l’attaccamento al proprio mondo e fa si che, la frequenza dei luoghi, dove più viva risulta la ricerca espressiva, non inquina, anzi ravviva la propria identità culturale.
Certamente l’approccio critico di un artista nei confronti di un altro non può essere asettico, deve necessariamente essere di parte, chi guarda il secondo attraverso gli occhi del primo, osserva per il tramite di una “finestra” che privilegia aspetti particolari del “paesaggio” espressivo. Quelle “espressioni silenziose”, quei “soprassalti appena luminescenti sul confine; insieme familiare e magico, tra realtà e irrealtà”, richiamati dal critico di “la nuova letteratura”, sembrano essere stati punti di particolare interesse per la nostra pittrice che, evidentemente gli preferisce ai temi Kafkiani del “Deserto dei Tartari”, complice forse (in questa scelta) la luminosità mediterranea dell’ambiente veneziano.
Ad Antonia Fedon va il merito della pregevole ed equilibrata cromatura dei propri dipinti, della sensibile capacità di organizzare i suoi messaggi attraverso simboli evocativi, che propongono immagini un po’ misteriose, in un contesto di suggestione emotiva e, in questa occasione, di avere “colto nel segno”.
Luciano Banchelli, Firenze