Benedetta Salerno – 1996

L’illustrazione di un’opera letteraria con immagini pittoriche non implica necessariamente un’affinità o una somiglianza tra pittore e scrittore, ma si risolve spesso in un incontro tra due universi artistici altrimenti inconciliabili. Si può così rinunciare alla stretta logica del confronto, per osservare un felice e poetico accostamento di due ambiti espressivi diversi: le parole e le immagini. In quest’ottica va vista l’interpretazione, o meglio la lettura pittorica, che Antonia Fedon offre dei romanzi e dei racconti di Dino Buzzati, senza indugiare sulle indubbie differenze di temperamento e di scelte stilistiche esistenti tra i due artisti. L’illustrazione ha il vantaggio della sorpresa: senza di questa sarebbe stato impensabile stabilire un legame tra l’estro della Fedon, pittrice estroversa e dalla tavolozza solare, ed il carattere inquieto e riservato dell’illustre scrittore bellunese. In questa diversità la Fedon  non solo si riconosce, ma vi coglie anche un invito: tralasciando la tensione, l’angoscia, il senso di attesa così tipico delle pagine di Buzzati, perché non presentare le vicende irreali e le creature fantastiche uscite dalla penna dell’autore sotto una luce meno inquietante?  Perché non puntare l’accento sull’aspetto magico, favoloso, onirico, che è altrettanto tipico della prosa buzzatiana? Ecco allora che dalla lettura si passa ad una traduzione in immagini: dalle parole prendono forma, nell’immediatezza del colore, quelle suggestioni visive già presenti nel testo.
La scelta stessa del colore ha una certa importanza:  se la Fedon costruisce da sempre i suoi quadri con i tre fondamentali (giallo-rosso-blu), nel ciclo pittorico dedicato a Buzzati privilegia nettamente il blu, il colore – come spiega Kandinsky – legato al cielo e alla notte, al sogno e alla fantasia, all’infinito e all’immaginazione. Armonizzate ai toni del blu, le cose perdono i loro contorni e si confondono proprio come nei sogni, ora sfumano e si dissolvono l’una nell’altra, ora si sovrappongono mediante delicatissime velature stemperate nelle trasparenze del colore. Da uno sfondo misterioso emergono forme riconoscibili che poi sprofondano e si mimetizzano.
È dunque nella dimensione della fantasia e del sogno che la sensibilità dei due artisti trova fondamentalmente il punto d’incontro. Ma c’è dell’altro: suggestioni oniriche si congiungono per entrambi con un sentimento della natura che spaventa o incuriosisce, ma che comunque agisce di stimolo per la creazione artistica. E quando la Fedon interpreta la natura di Buzzati, allora il risultato, ci sembra particolarmente felice, e le due poetiche convergono e si esprimono in perfetto accordo. Si scorge così una natura minacciosa, grandiosa ed imponente, aspra e inospitale, a volte ostile ma di forte attrattiva (Barnabo delle montagne, Le montagne sono proibite, Il Colombre); oppure una natura guardata quasi con occhi infantili, stupiti ed increduli nel veder emergere da un bosco incantato veloci animaletti che subito svaniscono (Il segreto del bosco vecchio, I conigli sotto la luna); oppure ancora una natura variopinta, festosa e brulicante, un inesauribile sbocciare di vita e di colore, che si lascia apprezzare, con una certa ironia, anche nei suoi aspetti più curiosi e bizzarri (La Creazione).
Verso questa natura affascinante e imprevedibile, la Fedon, come Dino Buzzati, tende l’orecchio, per ascoltare e lasciarsi tentare da un mondo di suoni che si apre così alla pittura e alla magia di un testo scritto. Si odono le voci del bosco e il canto degli uccelli, il crollo spaventoso di una frana e il verso di un animale in rapida fuga, rumori sinistri, grida soffocate, urla improvvise: ma si avverte soprattutto il silenzio delle montagne, rotto appena da un impercettibile sussurro o da gelidi soffi. E nei diversi accenti della natura si crea l’armonia di parole e immagini.

Benedetta Salerno