Paolo Rizzi – 1980
Una barca a vela in primo piano; quindi un’ansa, un porticciolo; a sinistra un cielo che fortemente s’arrossa…… Certo, è una veduta marina:la descrizione è chiara. Guardo il quadro una volta, poi un’altra ancora. Lo riguardo. Esso nella fantasia si dilaga. Il colore assume risonanze e trasparenze strane. Lo sguardo s’invischia all’interno del colore che mi appare sempre più involgente, quasi conturbante. Ecco: il quadro è diventato uno “stato d’animo”.
E’ bastata quest’impressione per convincermi che Antonia Fedon è una pittrice da osservare con attenzione: non dice cose banali, non si lascia trasportare dalla facile maniera. Sia pure con fatica, sta trovando una strada tutta sua, che riflette il suo sentimento interno e, di riflesso, la sua spinta inconscia. Questa a Belluno è la sua prima personale; e certo la sua esperienza, anche per la giovane età, è limitata. Ciò che colpisce è il “salto” che nel giro di un paio d’anni ha compiuto, e che è documentabile nel confronto tra la produzione d’oggi e quella “ante” cioè la saletta in cui sono esposti i quadri di matrice impressionistica, molto piacevoli. Al paragone, i più numerosi quadri dell’’ultimo periodo hanno qualcosa – la ricerca di una”verità” sentimentale, di tono romantico- che colpisce. Il loro ”discorso” scava a fondo: non stanca l’occhio perché implica rimandi di ordine fantastico-emotivo.
Osservo un altro quadro, abbastanza emblematico e, per qualche verso, enigmatico. “L’attesa”: una ragazza alla finestra, un gesto di’ instabilità che da fisica diventa psicologica. Il colore è basso, denso, umoroso, tenuto tutto sul tono, con qualche contrappunto smorzato. E’ un’ opera interiorizzata, molto unitaria, senza orpelli stranianti. I valori simbolici sono semplici ma netti, soprattutto nelle linee oblique che spostano il punto focale dell’immagine al di fuori, in una zona indeterminata che diventa – appunto- spazio non fisico ma psichico. Tutto intorno alita qualcosa di indefinibile.
Una cosa mi pare da sottolineare: Antonia Fedon è riuscita, in questa serie più recente di quadri, a liberarsi dalla fenomenicità dell’immagine per puntare su una pittura di lievitazioni psichiche: quindi di sfondo romantico nordico.
Ad uno sguardo attento non può non sfuggire una mestizia dolce, una pudica trasmutazione sentimentale degli oggetti, un velo di oscure nostalgie, e insieme una necessità interna di fuga fantastica.
Ritengo che a questa pittrice occorra dare credito. Mi auguro che la sua mostra- non si dimentichi: la prima – sia vista e giudicata nella compenetrazione dei “significati” che essa ci propone. “Significati”: non piacevolezze edonistiche.
Paolo Rizzi.